jeudi 2 juin 2011

Un anno

E' passato quasi un anno dall'ultimo post, non che la Polonia non abbia macinato informazioni da entusiasmo, no, è solo che è nato un bambino. Piccino. E che si chiama Zenek, come lo stereotipo dell'operaio polacco. Ma di quello bello, eh...

oddio, anche un po' kitsch, eh.

lundi 7 juin 2010

Durex

durex
limited edition

poland supporter

5 preservativi
per tifosi polacchi




Forse è un'opera di Wodiczko, io l'ho comprato in un autogrill.

dimanche 6 juin 2010

Reisefieber, Mikołaj Łozinski

''Da quando ho letto 'Reisefieber' leggo diversamente. Ogni volta che apro un libro mi chiedo se sarà più bello della storia di Daniel. Fin'adesso ogni volta che li ho chiusi mi sono detta che no, che non lo era.''


reisefieber, mikołaj łoziński, znak, kraków 2007


Astrid Reise è una donna sola, non si è mai sposata anche se ha avuto una storia importante con un uomo che le rimane sempre accanto, come amico. Vive a Parigi, dove è arrivata dalla Svezia ed ha un figlio, Daniel, con il quale ha un rapporto dificile. Daniel vive a New York e non si vedono da molto tempo.

Soltanto dopo la morte della madre Daniel tornerà a Parigi e vivrà gli spazi della donna, ma sarà soltanto per pochi giorni.

- Bello. Bello, questo libro è proprio bello.

- Non si dice di un libro che è bello. Non si dice.


Perché no. Bello. Bello, di quell'aggettivo piccolo e breve che pure impasta la bocca con quella doppia elle. Lettera dopo lettera, scandite piano per ripercorrere quanto questo libro sia, davvero, bello.

B, le prime pagine, quando ti affacci nella stanza di Daniel e guardi le pareti mentre lui risponde al telefono, e guardi il profilo di quell'uomo con la cornetta in mano e capisci che stai per cambiare ritmo, stai per prendere il colore di quella scrittura, che è leggerissima e ti scorre lo sguardo a inseguire una storia che comincia a fluirti accanto, e ti prepari, perché è chiaro che lo seguirai.

E, lo spazio che si apre davanti. Dal finestrino dell'aereo, in mezzo a teste sconosciute e ininfluenti, a quello di un taxi in un'altra città, dove tutto comincia a risuonare di un passato che vorresti conoscere nei dettagli e chiedere e fare domande, ma invece aspetti in silenzio e soltanto segui Daniel, fino alle finestre di una qualche stanza e ti siedi con lui, con quel suo passato silenzioso accanto.

L, e ancora L, nei capelli delle persone che incontri camminandogli a fianco e nel colore degli occhi di chi ti rendi conto che D. osserva attentamente, perché sono persone che ha perso di vista nella distanza degli anni, ma il colore dei loro occhi non è cambiato, quello non cambia mai, va al di là del tempo.

O, Daniel cammina da solo per una città che era sua e non lo è più. Vorrebbe che non lo fosse forse mai stata, ha provato a sostituirla, eppure i luoghi sono capaci soltanto di allinearsi, non riescono a cancellarsi l'un l'altro, non lo vogliono fare e nemmeno potrebbero, per quel rispetto di sé che loro non manca. Non dorme Daniel, si muove e ricerca la presenza della madre in quel vuoto che ha lasciato, in quel suo non esserci più. La cerca alla fine dentro di sé, in quel solo spazio dove ancora può trovare una presenza, uno sguardo. E tu lo ascolti in quel suo inutile immaginario parlare con chi ama per non far domande a se stesso, per non dover aspettare una risposta, né formularla. E lo ascolti perché è qualcosa che fai anche te, perché la paura di quelle risposte ben la conosci.

Bello: lucido, nitido, semplice, chiaro, onesto, vero: Bello.

Momento dopo momento di stretta vicinanza. Come fanno i libri belli, che ti arrivano vicino, ti stanno accanto e ti scosti persino un poco per far loro spazio, perché fino alla fine stiano con te e stiano comodi, caldi, stiano bene. Reisefieber è bello in questo senso. Ma anche in molti altri. Per esempio è bella la verità dei personaggi, perché ciascuno di loro zoppica apertamente, come chiunque di noi.

Louise, che si trova nella città della sorella, ''eppure non sono venuta qui per lei'', dice, ''ma per lavoro''. Anna, che non riesce a capire la gravità di questo viaggio non suo, non immagina quel perdere il fiato di Daniel, nei luoghi dell'assenza di sua madre, ed è capace di offendersi per non aver ricevuto sue notizie e si comporta da bambina quando chiude una telefonata di Daniel, che la chiama di notte, perché sta dormendo. Daniel, che non ha mai cercato di ascoltare altro al di là di una sua rabbia immotivata, rabbia contro qualcosa che viene a scoprire quando è troppo tardi, così come troppo facile è parlare di Reisefieber, quando Reis è il proprio cognome, il cognome che ha dalla madre. Astrid, che nel morire lascia dietro di sé quello che lasciano coloro che muoiono troppo presto: troppo. Persino l'inquilino polacco del loro primo appartamento, che non sa come spendere due parole in più pur di parlare a questo ragazzo di sua mamma, ma che forse è imbarazzato perché sa che negli ultimi anni l'ha vista più spesso lui del figlio. Ciascuno zoppica per le sue mancanze, per le sue debolezze eppure la ruota prosegue e, al di là dei meccanismi che si inceppano, un equilibrio rimane, in questa danza del tempo che scorre. In avanti, sempre in avanti. Persino quel grido in gola che vorrebbe invece per una volta fermare tutto pur di poter tornare indietro e cambiare qualcosa - perché così non è possibile, perché così fa troppo male - deve solo tacere, come i motori delle macchine ferme ad un semaforo, che per qualche attimo si fanno più lievi, ma poi, al verde, devono ripartire.


Daniel cercava le parole giuste per descivere a se stesso quel momento. Del resto sapeva così tante lingue, milioni di parole. Perché nessuna di queste non gli veniva adesso in mente? ''Come si sente uno che ha perso la madre? Come si sente? - pensava. - Si sente come uno che ha perso la madre. Senza senso. Non so dirlo altrimenti''.